“Come nei Balcani”… La frase è ormai ricorrente, nei commenti sulla tragedia ucraina. Ormai è entrato nel discorso come il paragone tra quello che sta succedendo oggi a Kiev e quel che è successo alla fine del secolo scorso a Sarajevo. Una guerra civile in Europa, con l’Europa colpevole spettatrice. Ma c’è una differenza, importante. Tra la disintegrazione della ex-Jugoslavia e l’imminente disintegrazione dell’Ucraina c’è l’integrazione mancata dell’Europa. Che arriva tardi, male e senza costrutto ad affrontare la tragedia ucraina, stretta tra interessi nazionali, realpolitik e indifferenza. Allora, nei ruggenti anni ’90, era l’indifferenza dei benestanti. Oggi è l’indifferenza-rifiuto di quelli che tanto bene non stanno, e si chiudono nella propria sofferenza o nella cura dei propri interessi, cercando di minimizzare i danni o massimizzare i profitti di guerra.
Il fallimento della politica estera dell’Europa sull’Ucraina è speculare a quello della politica economica sull’euro. E a ben vedere i due fallimenti hanno le stesse radici. Mancanza di coesione, solidarietà e obiettivi comuni: la stessa che impedisce ai governi di rendersi conto che un eccesso di deficit degli “spendaccioni” è negativo tanto quanto un avanzo commerciale dei “virtuosi”, che gli squilibri si correggono intervenendo da tutte e due le parti, e non emanando pagelle (e conseguenti punizioni). Coesione, solidarietà e obiettivi comuni avrebbero consigliato all’insieme dei governi dell’Unione di muoversi prima, e non a casaccio, sulle crisi nascenti al confine: evitando di promettere cose non realizzabili, non alimentando le spinte nazionaliste, ma ascoltando le aspirazioni di quella parte della società ucraina che guarda a noi come a un futuro possibile. Scendendo in piazza, quando non si mette in viaggio per venire di qua a tappare i buchi del nostro welfare e del nostro mercato del lavoro.
Già, ma a noi cosa importa? Non siamo riusciti a salvare Atene, col suo piccolo debito e la sua grande storia, come potremmo mai riuscire a salvare Kiev coi suoi grandi oleodotti e la sua storia meno conosciuta ai più? Forse è troppo tardi, forse la realpolitik verso l’amico Putin imporrà il coprifuoco su barricate e il silenzio sui dittatori. O forse è troppo presto, la campagna elettorale europea entrerà nel vivo in primavera. Quando forse i morti di Kiev saranno già cancellati. O, chissà, saranno cambiate le mappe ai confini dell’Unione europea. Ma per favore, allora cambiamo la parola anche da questa parte del confine: la parola Unione, sin dall’inizio sopravvalutata, è superata dai fatti.
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