Khadija Abdi Yarow aveva 32 anni ed era un’operatrice del COSV, responsabile didattica delle cinque scuole elementari temporanee che il COSV sostiene a Mogadiscio, nei campi sfollati della Zona K, vasti ammassamenti di baracche, casupole e rifugi realizzati con teli e stoffe.
In un paese in cui solo il 15% dei minori frequenta la scuola ed in cui l’impatto della guerra sul sistema scolastico è stato devastante, Khadija era convinta che ripartire dai giovani e dalla responsabilità verso le nuove generazioni costituisse una delle grandi vie per risolvere i tanti dissidi che ancora affliggono la sua gente, stremata da anni di guerra e di violenza.
Una convinzione che ha trovato riscontro nel progetto di cui era responsabile, quello delle scuole temporanee, fortemente voluto dal COSV per sostenere un settore vitale come quello dell’istruzione primaria, che in Somalia soffre della cronica carenza o discontinuità di finanziamenti.
E, sabato scorso, Khadija è stata proprio vittima di quella spirale di violenza che continua impunemente ad insanguinare le strade di Mogadiscio.
Kadija era in macchina con i suoi colleghi ed era in viaggio verso la Zona K per visitare i 2200 alunni che frequentano le scuole temporanee, quando è scoppiato uno scontro a fuoco. In fin di vita, Khadija è stata ricoverata in uno dei pochi ospedali che in Somalia offre servizi di chirurgia d’urgenza. Ma non ce l’ha fatta.
Nel contesto già di grave emergenza umanitaria, le strutture ospedaliere che continuano parzialmente ad operare sono purtroppo limitate. In assenza di finanziamenti da parte della comunità internazionale, riescono a garantire servizi quotidiani essenziali alla popolazione locale grazie a contributi volontari della comunità locale e di cittadini somali della diaspora. Ma le condizioni di estrema scarsità di risorse finanziarie ed umane in cui sono costrette ad operare, ne rendono ancora più difficile l’attività.
IL PROGETTO IN CUI STAVA LAVORANDO KHADIJA
Il progetto di cui Khadija era responsabile didattica coinvolge 5 scuole temporanee, allestite all’interno dei 5 campi profughi di Madag, Mabda, Maryama, Hersi Ruug and Kabka nella Zona K di Mogadishu. Sono 2.210 i bambini che frequentano queste scuole, bambini privati del loro diritto allo studio.
Il progetto prevede diverse componenti, per prendersi cura nel complesso della vita dei bambini nei campi: dall’attività in classe di qualità agli interventi psicosociali, dai momenti ricreativi ai percorsi di peace building. I ragazzi vengono coinvolti anche in attività per acquisire conoscenze e competenze utili ad affrontare diversi aspetti della vita quotidiana in termini di salute, igiene personale e comportamenti a rischio.
Le scuole di campo vengono fornite di materiale educativo ed offrono cibo nutritivo gratuito agli studenti, mentre presidi e insegnanti ricevono incentivi salariali e training pedagogici al fine di garantire la massima qualità educativa. Per garantire un ambiente sano, gli spazi educativi sono forniti di bagni, separati per maschi e femmine, e tutti gli studenti possono beneficiare di screening sanitari gratuiti, forniti dalle 5 cliniche mobili gestite dal COSV nella zona K di Mogadishu.
Per favorire l’inclusione delle bambine nelle scuole, sono previste campagne informative con le comunità dei campi.
LA SOMALIA IN QUESTI GIORNI
I continui conflitti e le calamità naturali sono state tra le cause principali di quasi due decadi di cronica emergenza in Somalia, e le ripercussioni si sono fatte sentire sul funzionamento del sistema educativo: solo il 30% di bambini in età scolare risulta iscritto alle scuole primarie. Nella Somalia centrale e meridionale, più afflitta dal conflitto, il tasso di iscrizione scolastica scende al 22%. Nel 2012 inoltre, con il riaccendersi del conflitto e lo spostamento interno della popolazione, l’abbandono scolastico si è aggravato.
Un rapporto del cluster Istruzione riporta un abbandono scolastico del 78% tra bambini e ragazzi somali di età compresa tra i 5 e i 17 anni (su un totale di 2.3 milioni). Le cause sono da imputare principalmente allo stato di perenne insicurezza e allo sfollamento della popolazione: l’UNHCR ha registrato un aumento di 12.000 sfollati da Aprile e particolarmente preoccupante è la situazione nella zona K, dove vivono oltre 120.000 sfollati interni. Il numero di persone che arrivano nella zona K è in continuo aumento, e si tratta soprattutto di donne e bambini.
Nei campi profughi, la vita dei bambini è particolarmente esposta a rischi: lontani dal circolo familiare di protezione, sono a rischio di abusi sessuali, sfruttamento e reclutamento nelle forze armate. Tutto il mondo dell’infanzia viene distrutto, senza accesso all’istruzione e senza opportunità adatte alla loro età, i bambini sono costretti a crescere ed affrontare responsabilità e compiti degli adulti.
L’attuale spostamento di sfollati da Kismayo incide ulteriormente sul sistema educativo di Mogadiscio: non c’è la capacità di accogliere tutti i ragazzi e il rischio di abbandono scolastico cresce ulteriormente. E in assenza di un servizio governativo, la responsabilità dell’istruzione di base dei bambini ricade sulle comunità. Ma la crisi umanitaria ha tirato al limite il sistema di sostegno cooperativo delle comunità nei campi profughi, riducendo molto la capacità di offrire assistenza.
Un’altra generazione di bambini privati dell’istruzione – fondamento non solo del sostentamento individuale, ma del senso di cittadinanza collettivo e dei futuri leader – lascerà Mogadiscio e tutta la Somalia senza un percorso sostenibile verso la pace.