Intervista a Paolo Comoglio del COSV
Scritto da: Beniamino Sidoti per Edizioni Sonda
Dopo l’attacco alla redazione di Charlie Hebdo ho letto e sentito diverse semplificazioni (in particolare sulla televisione italiana, che un’entità superiore ce ne scampi). Ho sentito in particolare sulla mia pelle semplificazioni stupidissime a proposito del fumetto, della satira, della libertà di stampa e del mondo islamico.
Come spesso accade, mi pare che anche stavolta molte persone pagate per ragionare abbiano preferito portare in pubblico ragionamenti già precotti: cioè che non ci sia la vera voglia di confrontarsi e cercare di capire.
E mi pare che chi si confronta e cerca di capire, invece, lo fa altrove. Sarà il terzo millennio, l’epoca della comunicazione che avviene fuori degli strumenti di comunicazione, dell’informazione che avviene fuori degli strumenti di informazione.
Bene: mi è tornata in mente una ONG che fa tanti progetti meritevoli, di cui alcuni in particolare mi paiono essere molto utili per capire e confrontarsi sulle vicende di questi giorni. L’associazione è il Cosv, e i progetti cui penso sono quelli sulla promozione del fumetto per i giovani del bacino mediterraneo: concorsi, promozione della conoscenza dei giovani fumettisti (islamici e non), persino un festival del fumetto a Beirut.
Ne parlo allora con Paolo Comoglio, che è proprio a Beirut per seguire (da tempo) questi e altri progetti del Cosv.
Paolo, anzitutto raccontami che cosa avete fatto con il fumetto in questi anni.
Nel 2008 il COSV ha cominciato a utilizzare il fumetto all’interno dei propri programmi di dialogo interculturale tra giovani dell’area Europea e Mediterranea. In particolare in Libano, dove abbiamo nel tempo realizzato tre progetti che grazie al fumetto hanno permesso l’incontro e il confronto tra ragazzi e ragazze di diversa provenienza, sia tra le varie componenti etnico religiose del Paese che dell’intera regione. Abbiamo realizzato workshop, esibizioni e concorsi, sia per professionisti che per neofiti, sempre con lo scopo di utilizzare una forma d’arte, diretta e fruibile come il fumetto, per costruire percorsi di dialogo o semplicemente momenti di conoscenza e scambio. Il confronto artistico, la curiosità e la voglia di esprimersi hanno permesso di superare barriere altrimenti spesso invalicabili.
Perché vi interessa il fumetto?
Il fumetto è diretto, supera le barriere linguistiche ed è realizzabile anche con mezzi tecnici ed economici limitati. Senza volerne sminuire la valenza artistica (nei nostri progetti il fumetto è sempre considerato una forma d’arte, come è giusto che sia), è anche vero che anche chi non è un esperto può cimentarsi e trovare un modo soddisfacente di esprimersi e comunicare. Proprio questa immediatezza risultava utile alla nostra intenzione di coinvolgere un pubblico giovane e catturare l’attenzione su temi rilevanti in poche tavole. I nostri progetti hanno sempre spronato i partecipanti a provare a utilizzare il fumetto per riflettere e proporre a un pubblico generico temi quali il dialogo o i rapporti con “il vicino”, in modo che tramite le tavole disegnate si potessero toccare temi altrimenti sensibili se presi seriamente o che potevano risultare troppo impegnativi se affrontati in una conferenza o in un libro o con altri media.
Bisogna anche tenere conto che in alcuni dei Paesi in cui operiamo, ancora in Libano, per esempio, il fumetto è comunque una forma d’arte che stenta ad affermarsi, ad uscire dai cliché che lo vogliono solo un modo di raccontare storielle frivole o solo per i bambini. Non è un caso che i fumettisti professionisti della regione spesso debbano trovar fortuna all’estero, in Europa o USA e possano poi essere riconosciuti come artisti solo quando il successo fa eco anche tra le “mura di casa”. Eppure la qualità dei prodotti e dei disegnatori locali è notevole. Credo ne sia un esempio il successo che ha avuto la mostra del fumetto Libanese che con uno dei nostri progetti abbiamo portato tra le sale espositive dell’edizione 2010 di Lucca Comics and Games.
Per una organizzazione come il COSV dunque il fumetto diventa strumento di rilievo sia nel tentativo di promuovere percorsi di dialogo locale sia nella promozione nei nostri Paesi di culture spesso conosciute solo in modo stereotipato e superficiale. Il fumetto, insomma, può essere annoverato a pieno titolo tra i possibili protagonisti degli sforzi per costruire una cooperazione reale tra popoli, persone e culture.
Come viene percepito il fumetto nel mondo arabo?
In molti Paesi Arabi il fumetto ha, come detto prima, ancora una diffusione molto limitata. Maggiore spazio hanno le vignette satiriche o umoristiche ma il fumetto in quanto tale resta circoscritto ad un limitato numero di artisti e consumatori. Stanno crescendo però in questi anni, spesso grazie allo sforzo di giovani artisti, le pubblicazioni che cercano di dare spazio ai problemi locali in modo nuovo, più fruibile da un pubblico giovane che, diversamente che da noi, in molti Paesi Arabi rappresenta la grande maggioranza della popolazione. Si va dalla ricerca artistica al tentativo di non uniformarsi agli standard del fumetto occidentale, dando spazio a contenuti e tecnica che mantengano l’identità culturale locale. Gli eventi che hanno interessato molti dei Paesi Arabi in questi ultimi cinque anni hanno sicuramente dato una spinta ulteriore alla volontà di trovare nuovi spazi di espressione e il fumetto non ha tardato a farsi strada. Vale la pena ricordare, anche perché ormai cominciano ad avere una certa visibilità anche negli ambiti Europei, esperimenti quali “Samandal” (in Libano) periodico di fumetti di autori locali in cui spesso le tecniche di disegno si sperimentano in forme nuove ed originali (a cominciare dal fatto che i volumi vanno letti girandoli continuamente sotto-sopra per tenere il passo della lettura che si alterna tra arabo e lingue occidentali) o “TokTok” un periodico a fumetti Egiziano che racconta della realtà brulicante e complessa del Paese, specie in questi ultimi anni.
Da non scordare poi che in Algeria ha luogo annualmente il Festival International de la Bande Dessinée d’Alger, giunto ormai alla sua settima edizione nel 2014 e che sta acquisendo sempre più rilievo a livello locale ed internazionale.
Che impressione ti pare abbia avuto l’attacco a Charlie Hebdo? E a te, che pensieri ha suscitato?
L’attacco di Parigi e le conseguenti reazioni hanno sbattuto sotto i riflettori tutto ciò per cui continuiamo a credere sia importante lavorare nella direzione della costruzione del dialogo e dell’incontro tra culture, anche attraverso il fumetto. Senza entrare nel merito dei fatti e senza un ordine preciso credo che la libertà di espressione, il rispetto, il superamento degli stereotipi, l’abbattimento dei pregiudizi, il pericolo dell’estremismo assieme al pericolo delle strumentalizzazioni, la lotta all’ipocrisia ed alla superficialità, siano tutti punti che in questa vicenda chiedano di essere riportati all’attenzione dell’intelligenza di ciascuno di noi. Credo sia sorprendente, spaventoso ma forse estremamente utile osservare in un momento di silenzio le dinamiche su cui si è innestato prima e che ha alimentato poi questo episodio, scoprendo quanto estremi e simili siano i meccanismi della paura, dell’odio e dell’ignoranza. Lavorare per ridurne gli spazi è dunque la migliore risposta possibile, aumentando la cultura, anche, se serve, con i fumetti.
A me ha colpito anche la solidarietà a Charlie, la formula #jesuischarlie: per un attimo mi sono illuso che questo momento di commozione avesse portato con sé una riflessione più ampia sulla libertà di stampa. Invece sento molta propaganda e poca riflessione…
Tieni conto che i fatti di Parigi, giustamente, hanno suscitato una reazione enorme, quando invece decine di giornalisti e fumettisti arabi, più o meno famosi, sono stati arrestati, feriti e anche uccisi per via di quanto esprimevano… senza che questo abbia portato a nessun #jesuis… Ripeto: da un lato è comprensibile la reazione a qualcosa che ci colpisce in casa, dall’altro è importante non cadere nell’oblio di cui parlo e non dimenticare che le prime vittime di un certo tipo di estremismo sono cittadini arabi e musulmani, troppe volte invece catalogati tutti nelle categorie stereotipate della nostra informazione.
A proposito di semplificazioni e stereotipi della nostra informazione, la Siria viene descritta in questi giorni in Italia come un gigantesco focolaio di fondamentalismi e come palestra per combattenti e terroristi. Qual è la tua percezione, vivendo nella zona di pace più vicina al teatro di guerra?
È il discorso di prima… le semplificazioni, gli estremismi le strumentalizzazioni, a volte anche non sempre consapevoli. La Siria è sicuramente teatro, da ormai quattro anni, di una crisi le cui radici non si possono cercare solo nel Paese e in questi stessi suoi ultimi quattro anni. Nella cronaca veloce e superficiale dei nostri media quotidiani il pericolo di fermarsi alle bandiere nere o alle linee rosse, alle immagini di violenza che sembra apparire da sola, senza mandanti, è concreto e direi molto reale. La Siria per fortuna non è solo questo. La Siria di oggi è anche una moltitudine di giovani, ragazze e ragazzi, che vogliono pensare a un futuro che non sia solo la narrativa dei colori del fondamentalismo o della repressione. In tutto il territorio, che sia sotto il controllo di Damasco, dell’ISIS, dell’opposizione (dove poi ognuno è libero di mettere o togliere il cartellino “moderata” a piacimento), gruppi di civili cercano di dare un senso alla quotidianità, continuano a mettere in campo ogni risorsa che hanno per dare spazio alla voglia di vivere e di costruire e costruirsi un futuro. Chiamiamola società civile e accontentiamoci di mettere questa etichetta ma non dimentichiamola, non lasciamo che oltre che le bombe, di qualsiasi parte, sia anche la nostra superficialità a minarne l’esistenza.
Andare quindi oltre la violenza… Che cosa potremmo fare noi europei qui in Europa, e fuori d’Europa?
La violenza c’è. Non so se ci sia un limite, vorrei che si smettesse di cercarlo. Ma quelle ragazze e quei ragazzi di cui sopra ci chiedono di cambiare la nostra prospettiva di lettura. Non ricordiamoci della Siria e di queste aree solo negli incubi che ci provoca il terrorismo. Lo sforzo per prendersi o riprendersi gli spazi del vivere civile, della tutela dell’interesse comune che possa andare oltre le divisioni strumentali di etnia o religione ha bisogno per prima cosa di essere condotta in uno spazio che la nostra attenzione e il nostro interesse possono tenere aperto e, in qualche modo, proteggere. Le bombe e la violenza, in loco o in casa nostra, rischiano di distrarci e di condannare all’oblio gli sforzi di chi, in un modo o nell’altro, conduce una lotta di civiltà che, se guardiamo bene, è anche la nostra. Cosa possiamo fare? Interessiamoci, superiamo la semplificazione degli stereotipi di comodo, pretendiamo serietà in chi le notizie le deve far circolare e in chi le deve usare in modo responsabile. Il più grosso regalo che possiamo fare al terrorismo è lasciare che sia la paura a raccontarci la storia.
L’immagine è una vignetta da una tavola di Hanane Kane, fumettista selezionata dal COSV per l’esposizione di LuccaComics 2010.
FONTE: Edizioni Sonda