Sono in quattro, tutti uomini e tutti scalzi. Arrivano dal bush, attraversano la pista di atterraggio ora sommersa da circa trenta centimetri di acquitrino, fango e insetti. Si muovono veloci lungo la piccola diga creata per limitare lo scorrere dell’acqua e i danni che si porta dietro: c’è acqua e fango ovunque, fin dentro i tukul, nei rifugi temporanei costruiti con teli cerati, nelle cucine e nelle latrine. I quattro uomini si muovono veloci per portare una persona malata alla clinica di Jiech, insieme reggono una barella fatta di teli e piccoli tronchi di acacia rossa.
A causa del conflitto molte delle strutture sanitarie della contea sono state chiuse o distrutte e Jiech rimane l’unico punto di riferimento in grado di fornire i servizi di base: la clinica con il laboratorio, il dipartimento di nutrizione per i bambini con problemi di malnutrizione, il reparto di maternità. Solo due ore prima, con un elicottero, siamo riusciti a scaricare una tonnellata di materiale tra medicinali e integratori nutrizionali, e altre sei tonnellate sono a Juba in attesa di poter essere portate qui e nei villaggi vicini.
La stagione delle piogge è arrivata tagliando completamente fuori dal mondo un posto che dal mondo era già molto lontano, rifugio di circa 18.000 persone tra abitanti e sfollati in fuga dal conflitto. La pista di atterraggio, unico collegamento per l’arrivo di medicinali e altri beni necessari, è allagata e inutilizzabile e finché non si riassorbirà l’acqua, l’unico mezzo per arrivare a Jiech è l’elicottero.
Quanto dista Pagil? Tre giorni di cammino. E il confine? Una settimana. Da dove arriva il cibo e tutto ciò che serve? Da Juba. E quanto dista Juba? Juba è troppo lontana per contare la distanza in giorni di cammino, sono tre ore di volo in elicottero, tre ore che vincolano la vita delle persone di Jiech – cosi come Pagil e Mogok – ai beni alimentari, sanitari, nutrizionali di base.
In un contesto già piegato dal conflitto, scoppiato nel dicembre 2013, l’inaccessibilità creata dalle inondazioni rende ancora più difficile riuscire a fornire alle comunità quei servizi di base per condurre una vita dignitosa. A Jiech non c’è cibo, non c’è possibilità di connessione con altri posti, non c’è linea telefonica, non ci sono più le scuole, che a causa degli scontri sono state chiuse.
Qui hanno trovato rifugio migliaia di persone in fuga da Ayod, dove in quasi dieci anni abbiamo costruito un centro sanitario efficiente e abbiamo lottato e vinto contro il Kala-Azar (una lesmaniosi endemica che ogni cinque anni causa delle epidemie), abbiamo assistito le mamme durante il parto, curato i bambini dalla malnutrizione, affrontato epidemie di TB e morbillo, formato staff sanitario in grado di rispondere alle emergenze. Oggi ad Ayod non si può più accedere, la comunità è fuggita, il centro è distrutto, lo staff sanitario è disperso e gli sfollati che hanno trovato rifugio a Jiech hanno bisogno di tutto. Di sanità, di servizi di nutrizione, di uno spazio sicuro per i loro figli, di pace.
Per questo siamo arrivati a Jiech, per non abbandonare tutte quelle persone che sul nostro intervento hanno fatto affidamento negli anni e che, lontani dalle loro case e dalla loro vita precedente, devono rimettere in piedi una quotidianità sicura e dignitosa.
Il programma che stiamo realizzando interviene nei settori della sanità, della nutrizione e dell’educazione, per creare un sistema di servizi di base che possa far fronte all’immediata situazione di emergenza e che possa mettere le basi per la creazione di una stabilità e continuità nel tempo. Nella clinica, con l’arrivo dei medicinali, si possono affrontare le malattie più diffuse, come la malaria che soprattutto con le piogge e lo stagnare dell’acqua aumenta i casi nella contea, o il kala-azar che sta registrando un numero di persone infette superiore alla media dell’anno scorso. Con i mama-kit, riprendono le attività a supporto delle donne in gravidanza, affiancato dal programma di nutrizione che permette di affrontare i casi di malnutrizione nei bambini sotto i 5 anni.
Non meno importante è il programma di “education in emergency”, che ha permesso la riapertura delle scuole primarie temporanee con kit educativi e per la ricreazione. Oltre ad insegnare ai bambini e ai ragazzi a scrivere e leggere, la scuola offre un servizio fondamentale nel creare un ambiente sicuro e lontano dal conflitto, dove poter ristabilire una quotidianità e riprendersi dal trauma della guerra. Gli insegnanti, per la maggior parte volontari, passano agli studenti degli “life skills” utili per affrontare la situazione, come l’importanza dell’igiene, del corretto utilizzo delle latrine, dell’utilizzo di acqua pulita, del sapone, delle zanzariere. Le scuole sono ancora poche e riescono ad accogliere un numero limitato di ragazzi, e l’idea è di allargare il servizio, percepito dai genitori come molto positivo e costruttivo per il futuro dei propri figli.
Ma le difficoltà non sono poche, e lo scoglio principale rimane l’inaccessibilità dell’area e i problemi connessi alla distribuzione dei farmaci, degli integratori per la nutrizione, dei mama kit e gli educational kit.
Ci stiamo attivando per avere accesso a più voli di elicotteri, per raggiungere Jiech, Pagil e Mogok, e abbiamo bisogno anche del tuo aiuto.