Quando hai iniziato a lavorare per il COSV e come?
Ho iniziato nel 2007; ho letto l’annuncio per la posizione di logista pubblicato dal COSV a Kulbus e ho deciso di presentarmi. C’erano tre espatriati a fare le selezioni: Jennifer Oko, keniota, Mohamed Trunji, di origini somale e Virna Bolognesi, coordinatrice sanitaria del programma del COSV, dall’Italia. Cercavano qualcuno del posto che potesse coordinare la logistica dei progetti avviati due anni prima a Kulbus e che sostituisse il precedente logista che era stato spostato a Geneina. Ho fatto tutti i test scritti e orali, ma i risultati non sono stati comunicati immediatamente; dopo una settimana dalle selezioni i tre espatriati sono tornati a Kulbus per annunciare i risultati: io sono stato assunto come logista, e un altro come responsabile della farmacia del PHCC (primary health care centre) di Kulbus.
Cosa significa per te lavorare in una ONG?
Lavorare con una ONG mi ha dato l’opportunità di accrescere le mie competenze e acquisire nuove capacità; mi ha permesso di aprire gli occhi verso nuove tecnologie, nuove persone, nuove culture, nuove facce, di incontrare persone dal Kenya, dall’Italia, da tanti posti del mondo… a volte sento come se potessi volare dalla felicità per lavorare in un tale contesto e per i cambiamenti che questo lavoro ha portato nella mia vita … senza l’impiego e la collaborazione con una ONG, tutto questo non sarebbe mai potuto succedere!
Lavorare con tutte queste persone di posti diversi, mi fa immaginare di trovarmi io stesso fuori da Kulbus, fuori dal Sudan, in Italia…
Come ti posiziona il fatto di lavorare in una ONG nella tua società?
La comunità, la famiglia, gli amici sono contenti, orgogliosi che qualcuno di loro lavori presso una ONG internazionale, viene percepito come un grosso cambiamento. L’unico problema è che la gente a volte pensa che, semplicemente perché lavoro presso una ONG internazionale, possa avere a disposizione ingenti somme di denaro e così viene a chiedermi aiuto e supporto, come se io potessi prendermi carico e risolvere i problemi di tutti…inoltre alcuni sono gelosi perché vorrebbero essere nella mia posizione.
Quale pensi che sia l’impatto del lavoro che stai facendo?
Ho seguito e supervisionato la costruzione dei vari centri sanitari e la popolazione mi è molto grata… è un segno tangibile del programma che il COSV sta realizzando. Prima di questo intervento, non c’era alcun servizio sanitario se non l’ospedale centrale di Kulbus.
Quali sono state le principali sfide, delusioni e soddisfazioni che hai vissuto in questi anni?
In questi anni, vari responsabili, vari espatriati sono passati a lavorare a Kulbus, ognuno con la propria metodologia.. non è sempre stato facile adattarsi a ognuno di loro ma ho sempre cercato di accettare e di collaborare.
Una delle esperienze più negative risale al 2011: in qualità di amministratore, ero solito ricevere i fondi da Khartoum e Geneina, e avevo piena fiducia nei colleghi. A Kulbus non ci sono banche né money transfer, quindi i fondi vengono trasferiti in contanti, e solitamente mi venivano consegnati dal coordinatore sanitario, che a quell’epoca era il Dott. Garib Ahmed.
La notte prima dell’invio fondi, ho fatto un sogno, che la busta che mi veniva consegnata era vuota.
La mattina seguente, quando il Dott. Garib è arrivato a Kulbus e mi ha consegnato la busta e la solita ricevuta da firmare, mi sono rifiutato di apporre la mia firma prima che un Comitato controllasse insieme a me il contenuto della busta.
Il Dottore ha acconsentito, abbiamo quindi convocato alcune persone di fiducia e davanti a loro abbiamo aperto la busta e contato il denaro: mancavano 6000 pound sudanesi!
Per fortuna avevo dato ascolto al mio sogno, altrimenti non saprei come avrei potuto giustificare tale differenza.
Mi sono infastidito molto, e ho riportato l’accaduto a Khartoum…da allora verifico sempre con molta attenzione il contenuto delle buste, in presenza di un’altra persona dello staff.
Ho anche tanti buoni ricordi da raccontare! Per esempio ricordo con piacere la collaborazione con una coordinatrice italiana, Chiara Lizzi che aveva riconosciuto il nostro impegno anche incrementando i nostri salari. L’altro bel ricordo è l’inaugurazione del centro di Adawi, nell’area di Dar Mokutar, un’area ancora sotto il controllo dei ribelli…è stato molto coraggioso sfidare la presenza dei ribelli e decidere di attraversare il loro territorio e di costruire lì un centro sanitario che potesse fornire i servizi di prima necessità alla popolazione.